martedì 15 marzo 2016

Qual'è la prospettiva del cliente?

Un uomo cammina lungo la riva di un fiume da ore, macinando chilometri in cerca di un punto in cui sia possibile attraversarlo.
A un tratto, esausto, intravede sulla riva opposta un pescatore che è appena arrivato e sta preparando l'attrezzatura.
Nonostante la distanza e il forte vento, l'uomo decide di chiedergli aiuto, quindi mette le mani a mo' di megafono ed urla:
"Mi scusi, come faccio ad andare dall'altra parte?"
Il pescatore lo guarda un po', proteggendosi gli occhi dal sole con la mano tesa, poi urla a sua volta:
"Guardi che lei è già dall'altra parte!"

Una vecchia freddura, che offre però una chiave interessante per aprire il mio articolo di oggi sulle diverse prospettive da cui si possono guardare situazioni, problemi e obiettivi.

In particolare vorrei parlare della comunicazione dei prodotti e dei servizi da parte delle aziende verso il consumatore.

Trovo stupefacente, considerate le cifre spese ogni anno in attività di marketing e di diffusione di un qualsiasi brand, che in molti casi si punti ancora così tanto sui desideri e capricci di chi sta comunicando, a dispetto dei fondamentali desideri di chi il messaggio lo riceve.

Ho notato che molte aziende stanno replicando ciò che avviene nella maggior parte delle relazioni interpersonali tra esseri umani occidentali: parlare e non ascoltare.
Sembra che sia nata una sorta di egocentrismo del brand, e vedo tante agenzie pubblicitarie mirare a soddisfare il cliente o l'imprenditore che vuole parlare senza ascoltare. Mi ricorda, ancora una volta, l'atteggiamento di quel comico di Zelig che continuava a ripetere "Tu dimmi cosa devo fare ed io lo faccio."
Ci si preoccupa di progettare ed affinare un messaggio a senso unico, senza cercare di capire se questo interesserà al destinatario.

Questa, a mio avviso, non è consulenza.

Todd Duncan, un famoso autore di best sellers, nel suo libro Killing the sales analizza i dieci errori fatali nei quali i venditori cadono spesso. Tra questi parla del discutere come di una modalità disfunzionale:
L'errore di discutere (...) consiste nell'affidare il proprio successo di vendita alla capacità di esporre il proprio punto di vista in modo convincente. E' come intavolare un monologo per poi aspettarsi che la giuria emetta un verdetto favorevole. Ma (...) stabilire un iniziale livello di fiducia è più significativo che declamare un bel monologo con tutti i crismi. Significa instaurare un dialogo, una vera conversazione. Non c'è altro modo per sapere se il vostro prodotto o servizio potrà soddisfare i desideri del consumatore.
Nel libro appena citato di Duncan, si trova una tabella molto chiara che spiega le differenze di percezione nell'interlocutore che si trovi immerso in un dialogo oppure spettatore di un monologo:


Come scrisse Dale Carnegie nel suo libro Come trattare gli altri e farseli amici (1936), per influenzare le azioni degli altri bisogna per prima cosa entrare in contatto con i loro desideri reconditi. Il dialogo è un'ottima strada per questo.

Un'azienda, con le sue strategie di marketing, ha senza dubbio l'obiettivo di influenzare i clienti acquisiti e quelli potenziali, ma spesso oggi si dimentica di valutare i desideri e le modalità di scelta del suo target. Quindi non dialoga, non domanda con interesse, ma continua a proporre monologhi. Io ho questo, io faccio questo, io dico questo. Io... Io... Io.

Questo io... io... io mantiene le aziende nella credenza che si possa vincere la battaglia aumentando la frequenza dei messaggi e della presenza sui media, mentre è la qualità della relazione con il cliente e con i suoi bisogni che può fare la differenza, non la quantità di interazioni.

Influenzare gli altri non è più "vincere per sfinimento", ma comprendere cosa veramente desiderano e offrire loro quella soluzione come un pacchetto capace di portare benefici a entrambi.

Pensiamo un attimo al social network Facebook e alla mission che aveva nel 2004, ovvero nell'anno in cui venne lanciato da Mark Zuckerberg: fu creato per far dialogare gli studenti, con l'obiettivo ulteriore di rimetterli in contatto tra loro ad anni di distanza dalle lauree.

A un certo punto della storia le aziende entrano nella piattaforma, nascono le pagine istituzionali di brand e in novanta casi su 100... iniziano i monologhi.

Restando su Facebook, vorrei chiedere alle aziende: quante sono a conoscenza che la piattaforma offre la possibilità di fare sondaggi per coinvolgere il pubblico e per conoscerlo meglio? Oltre alla Pagina Facebook è consigliabile, infatti, aprire un Gruppo dove è possibile fare questo tipo di interazione con gli iscritti.
Non costa nulla, se non il tempo da dedicarci.


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