domenica 28 febbraio 2016

I codici stantii di alcune persone di potere

Siamo da sedici anni in un nuovo secolo e, non so voi, ma io vedo ancora troppe volte codici comportamentali che sfiorano l'arroganza addosso a chi siede dietro scrivanie come quelle di manager, primari, notai, sindaci, assessori, dirigenti pubblici e, in generale, dove esiste un ruolo da difendere, o forse da sottolineare.

Vorrei parlarne oggi, prendendo in esame alcuni di quegli atteggiamenti che creano distanza e barriera tra chi li attua e i suoi interlocutori.

A volte mi capita di essere ricevuto da un manager o titolare di azienda, dopo aver fatto la mia bella anticamera per almeno dieci o quindici minuti oltre l'orario stabilito, nonostante la mia visita nasca da una sua richiesta di incontro.

Quando la segretaria mi dice che finalmente posso essere accolto, mi accingo ad entrare nel suo ufficio e il mio ospite resta seduto dietro la scrivania conversando al telefono o, peggio, lo sta facendo in piedi e di spalle all'entrata.

Visto che ormai sono in ballo, nonostante il mio istinto sia quello di non sedermi neppure, faccio buon viso ed attendo altri minuti a vuoto, ascoltando una telefonata di cui mi interessa meno di zero.

Altre volte, per fortuna, mi capita invece di essere ricevuto alla reception e di veder arrivare poco dopo il manager che mi ha invitato, per accompagnarmi personalmente nel suo ufficio dopo essersi presentato.

Quale dei due manager preferireste incontrare?
Da quale dei due vorreste essere guidati in un team?
Che differenti predisposizioni al lavoro di squadra posso avere questi due individui?

Ho già parlato di territori in un mio recente articolo su questo blog, ma non ho posto l'accento su una sfumatura che in questo contesto è importante:
anche il TEMPO è un TERRITORIO!

Il tempo dell'altro dovrebbe essere sempre rispettato, tuttavia nella nostra società è ancora un territorio governato dal più forte.

Capita ancora troppo spesso che il superiore chieda al sottoposto di andare nel suo ufficio senza pensare lontanamente a una formula come "Quando hai un minuto passa da me che devo parlarti."
Più semplicemente comanda "Vieni nel mio ufficio", e questo non è rispettare il territorio altrui, come non lo è accettare telefonate o domande della segretaria quando il sottoposto è nel suo ufficio. Simili interruzioni rubano, di fatto, il tempo del dipendente.

Capita ancora troppo spesso che chi detiene il ruolo si permetta di arrivare in ritardo, di costringere l'altro ad attenderlo, con l'alibi sottinteso che... io sì che ho da fare cose importanti! E non voglio parlare di quei detentori di ruolo che fanno aspettare di prassi, solo perché fa figo tenere le persone in posizione down. Posso scommettere che spesso si tratta di individui che, quando si trovano a loro volta a dover attendere qualcuno, sono portati a dire "Lei non sa chi sono io!", e con questo ho detto tutto.

Al di là di queste considerazioni che mi creano solo sangue amaro, che ne è della leadership stessa quando un capo si comporta in questo modo? Che percezione dà di sé un manager che sbatte in faccia il suo ruolo in maniera così diretta tramite i comportamenti e la poca considerazione degli altri?

Ricordo un aneddoto accaduto qualche anno fa, che fece parlare molto i media.
Si verificò a Strasburgo, il 4 aprile del 2009, in occasione del vertice NATO: Silvio Berlusconi arrivò con la sua scorta, scese dall'auto e fece attendere una Anghela Merkel allibita, dandole le spalle e intrattenendosi in una telefonata per oltre dieci minuti (vedi video).

In un attimo passò alla storia come una tremenda gaffe del nostro Premier di allora, ma solo perché ad attenderlo c'era una persona di pari livello: un'altro capo di governo.
Fosse stato un sindaco di una qualsiasi capitale italiana, o anche un leader di Stato di minore rilevanza internazionale, non avrebbe dato così nell'occhio e non si sarebbe letto sui quotidiani il giorno successivo. Nessuno se ne sarebbe accorto, e chissà quante volte è capitato nella realtà.

A certi livelli non è importante, quindi, cosa si fa, ma a chi lo si fa, e questo la dice lunga sul tipo di società che viviamo.

Il leader evoluto sa bene che non sono questi atteggiamenti ammuffiti a garantirgli il ruolo e il conseguente rispetto da parte del team.
Il leader di oggi non ha bisogno di primeggiare, di ostentare la sua forza, né di vincere sul suo team, semplicemente perché nell'ottica del gioco a somma zero, quando lui vince... il team perde.

L'intelligenza gruppale prevede un gioco a somma diversa da zero, un piano sul quale si vince tutti o si perde tutti, dove la vittoria è il bene comune del reparto e quindi dell'azienda, non l'ipertrofia egoica di un singolo individuo.

Il vero problema è che alcuni leader vedono queste come "belle parole", ma in fondo hanno paura di scoprire un fianco mostrandosi disponibili e aperti all'ascolto e all'accoglienza: temono di sembrare deboli alzandosi dalla scrivania, ad esempio, per ricevere l'ospite che entra, quando non sia di ruolo più elevato del loro.

Arroccarsi nel proprio ruolo e sbatterlo in faccia in continuazione agli altri crea rigidità nel team, non fluidità.
Inutile fare corsi di team building quando il modello di trattativa del leader rimane ancora "love it or leave it", e bandisce ogni soluzione alternativa.

Ormai sappiamo tutti che collaborazione e lavoro di squadra producono maggiore energia, allargano il mercato e moltiplicano le opportunità, eppure esistono tuttora aziende che al loro interno vedono reparti che non comunicano tra loro o addirittura sono in conflitto tra loro. E questo avviene spesso a causa dei rispettivi manager di reparto, di faide interne che vertono sul ruolo, sul vinco io o vinci tu, quando dovrebbero invece puntare a un obiettivo più grande.

Certo il ruolo e il suo riconoscimento sono moltiplicatori, splendide droghe che nutrono e ingrassano l'EGO e... naufragar ci è così dolce in questo mare.

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