mercoledì 13 gennaio 2016

Il pedaggio del pessimismo

Due amici, uno pessimista ed uno ottimista, si trovano a un certo punto in una situazione veramente difficile, una di quelle in cui non si vedono vie d'uscita.
Entrambi si fermano a pensare, ognuno per i fatti suoi, alla realtà che stanno vivendo, quando il pessimista prende la parola e dice:
"Siamo proprio in un mare di merda!"
L'amico ottimista si volta verso di lui, lo guarda sorridendo e risponde: "Bene, se gela pattiniamo!"

Sentii questa storiella da uno zio che, nella sua semplicità, stava provando a passarmi un concetto. Ero un dodicenne e il concetto passò a tal punto che oggi non ricordo nemmeno il motivo per cui zio Enos (a volte un nome la dice lunga) volle insegnarmi ad essere ottimista.

Seppur paradossale nell'aneddoto, è stata una delle lezioni più importanti della mia vita e mi accompagna da allora, riproponendosi nella mia mente quando tendo a vedere nero... o quando ho davanti qualcuno che si fa prendere dallo sconforto.

E' ormai dimostrato in molti ambiti della vita quanto sia impattante a livello emozionale l'essere pessimista o ottimista nell'approccio alla realtà.

Uno sportivo o un venditore pessimista sulla sua qualità di performance avrà molte difficoltà in più a raggiungere i suoi obiettivi, poiché si muoverà contro un nemico occulto dentro di sé, che cercherà di boicottarlo per avere, appunto, conferme negative.

In campo medico è dimostrato che un cronico stato mentale di sofferenza patologica è tossico, mentre un'emozione opposta può addirittura essere salutare.

Già nel 1993, uno studio del Dr. Chris Peterson, condotto alla Oxford University di New York (Learned Helpessness: A Theory for the Age of Personal Control) e riportato nel libro "L'Intelligenza Emotiva" di Daniel Goleman, dimostrò quanto la qualità della predisposizione mentale (ottimista o pessimista) influisca sulla sopravvivenza di pazienti cardiopatici e contribuisca a diminuire o aumentare i tempi di convalescenza a seguito di un'operazione di bypass.

Una scuola di pensiero in ambito psicologico sostiene, senza averlo ancora dimostrato scientificamente, che il pessimismo porti alla depressione e che questa, a sua volta, possa interferire negativamente sulla resistenza del sistema immunitario verso i tumori e le infezioni.

Secondo Goleman, del quale sposo totalmente la visione, la solitudine emotiva, il fatto di non poter contare su legami stretti, la carenza di empatia ricevuta, sono fattori che alimentano in una certa misura l'indole pessimistica.

La sintonia emozionale con almeno uno dei due genitori nel periodo neonatale, della quale parla a lungo nel suo saggio già nominato sopra, per Goleman è la base per una buona intelligenza emotiva nell'arco dell'intera vita e chi è un intelligente emotivo non conosce il pessimismo patologico.
La tendenza al pessimismo ha radici profonde nella storia di un essere umano ed è il frutto bacato di esperienze emozionali negative.

Quindi è ben lontano da me il volervi consigliare una sorta di "positive thinking", che personalmente trovo ridicolo e non funzionale, salvo i casi di limitati periodi post-corsi-motivazionali (quelli in cui si balla e si urla insieme alla fine di ogni sessione ad esempio, o si cammina sui carboni ardenti), dai quali si esce infervorati per poi tornare esattamente quelli di prima.

Il "pensiero positivo", a mio avviso, ce l'hai o non ce l'hai, è una componente caratteriale che esiste o meno a seconda delle esperienze emozionali vissute dalla nascita in poi, soprattutto con i genitori. Come la spontaneità: uno ce l'ha o non ce l'ha e... non la crea certo sentendosi ripetere di continuo "sii spontaneo", che è un paradosso e crea l'effetto contrario nel momento in cui una persona inizia a forzarsi... di essere spontanea.

Come fare, quindi, per provare a invertire un'indole pessimista?


Posto che, come ho detto, non è possibile agire volontariamente sul pensiero e cambiarlo come si cambia un vestito, la cosa più funzionale è cambiare il proprio agire in relazione al pensiero. Quello è possibile.

La Psicologia Strategica, di cui lo Psicologo Giorgio Nardone è la fonte del sapere in Italia, consiglia di iniziare a chiedersi:

  • Come mi comporterei nella vita e nelle relazioni se fossi un ottimista?
  • Cosa farei o non farei di diverso rispetto a ciò che sto facendo ora? 
  • Cosa direi o non direi agli altri di diverso rispetto a ciò che sto dicendo ora?

Una volta fatta la lista, si può iniziare a cambiare i propri comportamenti, agendo "come se...", magari scegliendo quelli più semplici da attuare nella fase iniziale.

La tecnica del "come se..." è preziosa in moltissimi ambiti della vita ed è una delle tante strategie usate nel problem solving strategico. Sfruttata contro la visione pessimistica, nel momento in cui attua un cambiamento - seppur minimo - del comportamento e dell'agire quotidiano, lavora anche sulla percezione che il soggetto ha del suo problema, aiuta a ridimensionare e, via via, diminuire il disagio.

Se cambi il tuo atteggiamento verso le cose, finisci per cambiare le cose.
E. M. Cioran


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